Mi sono sempre chiesto quale sapore ha il mattone, se quello degli analisti che ogni tre mesi o poco più si prodigano a stilare schemi, a disegnare grafici, a spiegare a noi comuni mortali come si sta evolvendo il mercato immobiliare, in quale direzione stiamo andando con tante affascinanti supposizioni o, se è quello delle maestranze che trovi abbarbicate ad un muro di una casa, quella sapiente mano d’opera che fa veramente ruotare il mattone nelle loro abili mani.

Mi piace miscelare entrambe le cose perché trovo che i due punti di vista abbiamo una visione comune quella dell’economia reale, oggi le persone, con meno punti di me sulla carta d’identità, infarciscono le conversazioni di metaverso, di realtà e di economia virtuale ma, il profumo del cemento appena impastato, il rumore del cantiere il tintinnio dello scalpello e le urla dei muratori sono reali, questa è l’economia pura che fa girare il vil denaro.

Mi piace camminare nella mia città, Genova, così maligna e così amata, dove i raggi del sole si perdono ai margini della città vecchia, la osservo, la scruto da tutti gli angoli.  Guardo con beatitudine lo sviluppo del cantiere dell’ex polo fieristico, dinosauro di lunga data,  mi piace fermarmi a sorseggiare un caffé, aprire il secolo XIX,  leggere antiche polemiche tra chi professa lo sviluppo della città e chi si oppone, dissapori che affondano le radici nel tempo, gronda di ponente un’opera che ancora oggi non si sa se vedrà mai il via a causa dei costi lievitati come tante calcolatrici impazzite. Una città, la mia Genova, che sta cambiando pelle, con fatica ma sta cambiando, forse accelerata dal dominus delle ultime giunte, dall’ultimo doge oratore del fare. Si dice che c’è da portare il mare a Milano, o forse è questa l’intenzione quando hanno pensato al terzo valico, opera che al momento ha bucato tante colline ma ancora non ha portato un litro di acqua salata oltre Appennino e forse importato neanche un “foresto”, come chiamiamo noi simpaticamente gli abitanti extra liguri.

Si stanno completando opere per rendere raggiungibile la nostra città non solo con i mezzi privati ma soprattutto per far decollare container, per renderli veloci come proiettili e non sballottati come zabaione lungo le curve dell’autostrada A7 che ha visto tra i suoi esecutori balilla e faccette nere alla faccia delle guerre intestine che da sempre alimentano le banchine in nome della supremazia, ormai persa nel tempo, della superba sul mare mediterraneo.

E’ piacevole meditare su tutto questo mentre le persone si azzuffano per acquistare una piccola unità immobiliare da destinare a locazione turistica, si perché in mezzo a tutte queste baruffe di paese, ci sono i turisti che rimangono affascinati dalla città, fronde di persone che arrivano per godersi il sole (siamo la quinta città in Italia per ore di sole) e che fanno la fila per conquistarsi un posto in prima fila a spianata Castelletto, punto trigonometrico sulle bellezze della città, tralasciando tutto il resto… Acquario, Centro, Città vecchia e Boccadasse eremo marinaresco paradisiaco inflazionato e bramato nelle fantasie di tutti i viandanti pellegrini.

Boccadasse piccolo borgo adiacente ad Albaro, collina dove sono edificate le dimore del Novecento, desiderio dei genovesi benestanti, dove ogni metro quadrato viene setacciato e pagato con munificenza; giardini, ampi terrazzi, comprensori privati, vista mare sono le parole che riempiono le pubblicità degli agenti immobiliari che sanno come alimentare gli appetiti dei cercatori d’oro.

I “Trifolai immobiliari” sono ovunque, quelli che fino a ieri limavano il ferro, si improvvisano soloni del mattone, voci sapienti delle operazioni; il web in questo è fantastico, ha dato voce a tutti, a mestieranti, improvvisatori, menestrelli dell’affare, gatti, volpi, e ogni forma curiosa di animale. Tutto questo dimenticando il sapere, quello autentico, la bibbia della strada, quella che non è in vendita ma che viene scritta parola per parola sulla propria pelle, sui successi e sui fallimenti, faccia meno reclamizzata in Italia ma che negli “States” viene appesa, come i nastrini di Figliolo, in bella vista.

Io l’ho imparato sulla mia pelle e sto alla larga da improvvisati e saltimbanco di quartiere, perché prima o poi l’improvvisazione si paga, basta un colpo di tosse, un tasso che fa le bizze, in questo la nostra amica Von der Leyen ci ha assicurato che è finita l’epoca dei tassi negativi, dei rogiti a pochi millesimi di interesse e questo ahimè si proietterà  sulle transazioni immobiliari, passate da più di 800 mila annue degli anni ruggenti alle 300 mila dei periodi paludosi.

E ormai sul calare della sera mi ritrovo ad imboccare la sopraelevata, a guardare gli impalcati della nuova viabilità che scendono e mentre percorro la strada a mare, non so per quanto tempo ancora, visto le bellicose intenzioni sul tunnel sottomarino, nuova e vecchia ipotesi ogni tanto rispolverata da giunte di sinistra e destra per dare fiato a guaritori di ferite, cosi si chiamano quelli che vorrebbero abbattere in un colpo di spugna la sopraelevata, mentre si dovrebbe elucubrare e completare lo sky-line turistico della città o ampliare l’offerta turistica per fare sostare  i turisti qualcosa di più di un battito di ciglia, ma sia l’Hennebique, gigante dormiente da tanti anni e Ponte Parodi sono veramente due ferite profonde, a volte meditare fa male, poso il binocolo. Passo e chiudo.

Oscar Estate